
Diary è la storia di Minnie, quindicenne della San Francisco degli anni ’70, che scopre il piacere del sesso nella maniera più weird possibile: facendosi l’uomo della madre. E innamorandosene. Ok, l’uomo della madre è Alexander Skarsgård, ma non è una buona giustificazione. Il sesso diventerà il chiodo fisso della ragazza, che si trasformerà in una piccola nympho per passare poi agli acidi e ad altre cose carine. Perchè come vi avranno insegnato da piccoli si inizia coi pensieri impuri poi si passa al sesso, alle sigarette, alla droga e poi alla morte. No, Minnie non muore, però si sballa di brutto. D’altra parte se vivi a Frisco e sei una teenager negli anni ’70 non puoi certo tirarti indietro.
Il sesso, la droga e il rock’n’roll sono il cuore del film ma anche no. Diary non è un Lolita in salsa hippie, è la storia di una ragazza che cerca di trovare sè stessa, fuggendo dall’immagine che vede riflessa nello specchio che la ritrae come una loser bruttoccia. Quello della Heller è il classico film di formazione se vogliamo. Sì, la ragazzina imparerà dai propri errori. Imparerà che non si può amare gli altri se non ci si innamora prima di sè stessi. E tante altre belle cose che capirete guardando il film. Bel Powley nel ruolo di Minnie è eccezionale e ti fa venire voglia di strizzargli quelle tenere guanciotte nonostante arrivi a succhiare per 5 dollari nel bagno di un bar. Le tracce della graphic novel della Gloeckner non si perdono e sono ben presenti, inondando di colore e di animazioni un film che ha più di un momento di pura poesia visiva.
Un altro film indie americano da Sundance? Probabilmente sì. Ma un altro gran bel film indie americano da Sundance.
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